Alla mezzanotte tra il 14 e il 15 agosto del 1947, avvenne un fatto di grandissima importanza storica: l'Impero Britannico, lasciava uno dei baluardi della sua secolare espansione coloniale, la penisola indiana, permettendo così la nascita di due stati indipendenti il Pakistan e l'India.
L'uomo che maggiormente aveva contribuito alla sconfitta dell'Impero Britannico, il Mahatma Gandhi, passò, paradossalmente, una delle giornate più tristi della sua vita.
La sua lotta - frutto di una lungimiranza politica e culturale rara - era stata tesa a creare una nazione unica, dove mussulmani e indù (e le altre minoranze religiose) potessero vivere insieme.
Ciò non avvenne e i due dominion (i due stati furono trasformati in Repubbliche successivamente nel 1950 e nel 1956) si divisero esclusivamente su base religiosa. Il Pakistan, mussulmano guidato da Mohamad Ali Jinnah e l'India induista (e non solo) guidata da Jawaharial Nehru.
Le ragioni di Gandhi erano più che sensate. Già da quella mezzanotte le frontiere furono invase da oltre 11 milioni di persone, che tentavano, in funzione del loro credo religioso di, trasferirsi in una o l'altra parte. Il risultato fu drammatico: gli scontri lasciarono sul campo oltre 500 mila morti e le violenze non cessarono se non nel mese di settembre.
Tra i due neonati Stati si scatenò subita una forte rivalità che nel Kashmir portò alla prima guerra indo-pakistana e alle tensioni che ancora oggi, accompagnano i due paesi.
Gandhi continuò la sua battaglia non violenta, convinto della sua ragione e della necessità di bloccare gli scontri, fino a pochi mesi dopo, quando il 30 gennaio 1948 fu assassinato da un estremista indù.
Lo straordinario lavoro di Gandhi fu così disperso nel vento.
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